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d’erba, le timidi voci dei fiori còlti e dimenticati; e ad essi ritornavano i sospiri della sua giovinezza, i sogni, i rimpianti, le larve abbrunate.

Camminava senza sentire la terra, come portata da un amplesso; e non s’era nemmeno accorta che il tempo s’andava rannuvolando sempre più, tanto che giunta al podere incominciava già a cadere qualche goccia.

— Mio marito? — chiese subito.

Alberto non l’aspettava con quel tempo; egli era già partito da mezz’ora, prendendo le scorciatoie attraverso i campi.

— Ed ora?

— Ora non le resta altro che entrare in casa.

Così disse allegramente la fattora, una sposina anche lei, ma che aveva preceduto Marta nel riempire una piccola culla di vimini, intorno alla quale si affaccendava con grandi ansie.

Marta conosceva appena la fattora; per solito incontrava Alberto sull’aia, gli prendeva il braccio e non guardava altro. Fu sorpresa della gaiezza di quel volto, della luce strana che le brillava negli occhi, dell’aria disinvolta, padrona di sè.