Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 180 — |
tilde non si moveva ancora dal cantuccio dove aveva passata la brutta stagione, tutta chiusa e quasi nascosta in una sdruscita vestaglia, come se niente più le importasse del mondo.
A chi la osservava da vicino e assisteva a quel profondo mutamento, faceva pietà.
— Non ti vedrò più sorridere — le chiese un giorno suo fratello, dopo aver tentato inutilmente di richiamare la di lei attenzione sui giuochi della Lena.
Ella strinse le labbra con una contrazione dolorosa di tutto il volto. Ippolito soggiunse:
— Sei troppo giovane per chiudere ]n tua vita e porvi fine. Qualunque sia stato il passato, alla tua età c’è ancora un avvenire.
— Noi — disse Matilde con fiera audacia — apparteniamo ad una medesima razza e, quando abbiamo scritto un nome in fondo al cuore non c’è tempo, nè potere, nè ragione che arrivi a cancellarlo.
Ippolito arrossì fino alla radice dei capelli.
— Nemmeno il dovere? — fece egli abbassando la voce.
Matilde diede un gran sospiro, si chiuse la faccia nelle mani e non rispose, restando così immobile, quasi a far capire che ogni discorso era vano.
Tutte le sere la servetta, inviata furtivamente