Pagina:Neera - Novelle gaje, Milano, Brigola, 1879.djvu/101

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Un morto. 91


Quando Emanuele si alzò per prendere commiato, Sofia gli chiese sbadatamente:

— Come sono que’ versi: i canti che pensai, ma che non scrissi...

Le parole d’amor che non ti dissi — soggiunse Emanuele.

E mi parve che una corrente elettrica mi fosse passata accanto e vidi che gli occhi di Emanuele erano propriamente azzurri, d’un azzurro cupo, profondo.

Verso quell’epoca, poichè avevo molta cura di star lontana dalle correnti d’aria ed evitavo di bagnarmi i piedi — aggiungi che portavo sempre meco uno scialletto per gli improvvisi abbassamenti di temperatura — mi buscai un solenne raffreddore. Ne ebbi per ben quindici giorni, durante i quali Emanuele veniva a ordinarmi dei decotti e Sofia a farmeli ingojare.

Sofia ed io ridevamo spesso; Emanuele no.

— Sapete che abbiamo avuto un gran giudizio noi due quando abbiamo seppellito il nostro morto?

Così dicendo ella lo guardava fisso e lui rispondeva con calma.

— È vero. Non eravamo destinati.

— No certo, voi siete tutto ghiaccio ed io sono tutta scintille.

Pareva anche a me che Sofia avesse ragione.

Vi ripensai sul tardi quando li vidi partire insieme e conclusi che la felicità di Sofia stava nelle mani di suo cognato e viceversa.

Siccome stetti due giorni senza vederla, al terzo, trovandomi abbastanza ristabilita, volli andare a sorprenderla nel suo salotto.