Pagina:Neera - Novelle gaje, Milano, Brigola, 1879.djvu/111

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La mia vicina. 101

gnia, s’intende, della mamma; poi ella era partita per i bagni ed io non osai scriverle; appena tornata ripartì per la villeggiatura e adesso, adesso che si avvicina coll’inverno l’anniversario di quel giorno memorabile in cui, levando dal cassetto del mio scrittoio un cartoccino di carta lilla, ardii dirle: «Madamigella, posso?» è ora di dichiararsi formalmente al babbo. Ma Dio! come si fa con questo soprabito?

Così esclamavo in tono dolente ed in manica di camicia.

Era domenica, passate le due ore da un pezzo e nessuna bottega di piccolo mercante sarebbe stata aperta; non potevo dunque comperare dei bottoni nuovi e avrei dovuto aspettare l’altra domenica per presentarmi al signor P. P. Giacobbe in qualità di futuro genero.

Brutto bivio.

Non sapevo risolvermi nè per l’andare, nè per il restare.

Intanto suonarono le tre.

Rodolfo, Rodolfo, che facciamo? Ho io un secondo soprabito abbastanza decoroso per la circostanza? No.

Perlustrata tutta quanta la mia guardaroba — un chiodo in uno stipite — non rinvenni che una montagnola d'orleans, un frac un po’ antiquato e la cacciatora di panno bigio che mi serve nello studio, colle sue relative maniche di tela nera lucida.

Signori! chi di voi andrebbe a chiedere la mano di una fanciulla educata a un padre educato, educati voi medesimi, con una montagnola indosso, oppure una cacciatora?