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La mia vicina. 103

cameretta, e vi si serrava con tanto apparato di chiavistelli, che a me non restava altro a fare se non una profonda scappellata.

— Buon giorno! — le dissi questa volta perchè allo schiudersi del mio uscio ella aveva rivolto su di me due occhioni interrogatori, e fuggirmene così senza dir nulla mi pareva villania. — Devo aiutarla?

Questo aggiunsi perchè, contrariamente al solito, la chiave della mia vicina non girava nella toppa.

— Grazie — ella rispose, nè mai voce più argentina modulò questa parola così soave in bocca di garbata femmina.

Dir grazie, forzar la chiave, aprir l’uscio e scomparire fu l’affare di un minuto secondo.

Ella era scomparsa, ma un lembo del suo vestito rimase appicciccato a una puntina di ferro che faceva parte dell’uscio stesso.

Udii un piccolo grido e una manina coperta di un guanto di fil di Scozia si affrettò a scuotere nervosamente quel lembo di vestito ch’era rimasto prigioniero.

Io feci un balzo e fui abbastanza fortunato per arrivare ancora in tempo. La mia vicina si morse le labbra; io, chinandomi rapidamente, staccai la gonna; ma come spiegare quel moto istantaneo dell’anima mia?... Invece di lasciarla libera, la rattenni, e in quella positura, a’ suoi piedi, alzai gli occhi per guardarla.

Giuro che ne’ miei sguardi non v’era ombra di malizia, come non ve n’era nella intenzione e la mia pupilla s’era appena posata su lei che già la mano rallentavasi.