Pagina:Neera - Novelle gaje, Milano, Brigola, 1879.djvu/135

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Un ideale. 125


— Sì, ma non andiamo a spasso alle dieci di sera, sul bastione, durante il primo quarto di luna, sapete bene, quando fa le corna.

— O Dio — risposi impazientita — e che prova in fin dei conti una passeggiata sul bastione?

— Eh! può provare molte cose; questa per esempio, mi ha provato l’utilità diretta delle panchine poste all’ombra degli ipocastani fioriti e l’utilità indiretta dei medesimi ipocastani, dietro il cui tronco un osservatore intelligente...

— Ah vergogna! voi li avete spiati.

— No, accendevo un sigaro, ma siccome i fiammiferi si prestavano di mala voglia, ebbi campo di ascoltare il sostantivo angelo ripetuto due volte e il verbo adorare in due o tre tempi; vi avrei adorata, adorarvi! vi adorerò. Ora, se voi acconsentite a chiamarmi angelo o a lasciarvi adorare, mi indurrò a credere anch’io che il colloquio della nostra amica col nostro amico fosse innocente come un bambino appena nato. Andiamo, volete chiamarmi angelo?

— Demonio!

— Non credo che Tommasèo abbia posto queste due parole nel Dizionario dei sinonimi.

— E poi — interruppi — come volete che io creda a un amante? Carolina amava suo marito. Lo deve amare ancora; sembrano fatti apposta l’uno per l’altra.

— Ogni uomo ed ogni donna, a parer mio, sono fatti l’uno per l’altra.

— Insomma, vi proibisco di parlare.