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214 Novelle gaje.

mente al padrone se poteva tornar a guardare, sempre per dieci centesimi.

Il permesso fu accordato tanto più facilmente in quanto che non c’era nessuno oltre lui nella baracca e potè anche approfittare di uno sgabello di legno messo là per commodo delle signore.

Dopo tre quarti d’ora di contemplazione Beniamino uscì ringraziando il proprietario e levandosi rispettosamente il cappello.

Solo quando fu lungi si pentì di non aver domandato spiegazioni intorno a quelle astruse parole di sttorico, pitorico, indelebile, gheografico. Ma concluse, onde mettersi il cuore in pace, cosa ch’egli apprezzava sopra tutto al mondo:

— Sarà per un’altra volta. Diamine! con dieci centesimi non potevo pretendere di più.

Il sole scintillava tutto gaio e festoso; erano circa le due.

Beniamino sedette su una panchina di marmo. Aveva fatto colazione all’alba col resto delle ciliegie e siccome le ciliege non furono da nessun igienista collocate fra i cibi tonici e sostanziosi, entrò in trattative col pezzo di cacio regalatogli dal salsicciaio — e gli disse press’a poco così:

— Tu non sei quel cacio pecorino a cui sono avvezzo e che mi tengo caro; ma perchè non costi nulla, e poichè non ho altro, e poichè tutto ciò che si può mangiare è buono — come diceva mio padre — gnaffe!

Beniamino era in festa per lo meno quanto il sole che scintillava sul suo capo; masticando lietamente