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di convento le presentarono un marito solido e reale nella persona di don Esteban marchese di Valladolid — bellissima persona dopo tutto, assai distinta, assai gentile, ma involta nella prosa di un matrimonio di progetto.

Doña Sol si lasciò trascinare come una vittima «all’ara funesta», e quel giorno sparse ben dieci o dodici lagrime nel suo fazzolettino di battista guernito di trine, avendo cura di bagnarsi dopo con acqua di Colonia onde non le restassero gli occhi rossi.

Povera doña Sol!

Il marchese l’amava alla follia, ma ella si ostinava a credersi una donna sacrificata. C’era del sentimento vero in fondo al suo cuore, ma vi fiorivano sopra tante belle massime sbagliate, tante aspirazioni romantiche, tanti palpiti incompresi, tanto isterismo e tanta educazione cattiva, che un altro marito si sarebbe messe fin dal primo giorno le mani nei capelli.

Cosa che non fece don Esteban, benchè avesse mani da principe e capelli da poeta.

Intanto la luna di miele tramontava fredduccia, fredduccia. La testina esaltata della giovane marchesa non accoglieva o non voleva per puntiglio accogliere la sua felicità. L’amore languiva sui guanciali ricamati della sua poltrona, ed ella lo andava cercando su su nelle stelle.

Ma appunto in quella sera di maggio, doña Sol, dopo avere sbadigliato prendendo il caffè, dopo aver letto l’Elégance parisienne e pizzicato nervosamente sul piano

Ernani, Ernani involami....