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Patrizio. 289


Si parlava di follie d’ogni genere; erano tutti ebbri prima d’aver bevuto. La gioventù saliva alla testa di quei capi ameni, di quelle ragazze senza giudizio. Essi sentivano troppa vita nel loro sangue e volevano buttarne via una parte come zavorra inutile, per sollevarsi più leggeri nel ciclo delle illusioni.

Un temporale nereggiava sull’orizzonte; si partì egualmente. Ci voleva altro che temporale a trattenerli!

Patrizio, seduto al timone, guardava il Ticino che gorgogliava cupo e minaccioso.

Augusto era buon rematore e per di più conosceva le perfidie del fiume. Ad onta di un certo pericolo, la barca si sorreggeva abbastanza bene, rompendo i neri cavalloni che le spruzzavano sui fianchi una spuma candida come la neve.

Le donne gridavano un poco per vezzo e per altre loro mire particolari.

— Guardate — disse Patrizio — quella barchetta che si stacca ora dalla riva; ho in mente che vada a mostrare alla luna il colore della sua chiglia.

— Certo — rispose Augusto sollevando il remo e spingendolo vigorosamente — non vorrei esservi dentro.

La bufera si avanzava a passi di gigante; ma l’allegra brigata non la temeva più che tanto, essendo oramai prossima alla meta. Le grida di giubilo succedevano alle grida di spavento nella parte femminile; il riso o almeno il sorriso era su tutte le labbra.

Soltanto Patrizio non rideva. Collo sguardo intento seguiva le mosse della barchetta lontana. Un’attrazione irresistibile gli faceva prendere il più vivo in-

     Neera, Novelle gaje. 19