Pagina:Neera - Novelle gaje, Milano, Brigola, 1879.djvu/305

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Patrizio. 295


Questo ritegno in mezzo a tanta libertà voleva ben dire che l’amore aveva morso sul serio, questa volta, lo spensierato Don Giovanni!

Egli contemplava in estasi quel profilo delicato e quei grandi e neri occhi che lo avevano ammaliato fin dalla prima volta, inconsciamente.

Ripensava alla vita trascorsa, all'affetto costante, alle gioie e ai dolori che avevano avuti in comune senza conoscersi; ripensava alla notte che si erano incontrati e che lui aveva dormito in quel letto, su quel medesimo guanciale dove ora riposava la bruna testina della sconosciuta (era sempre una sconosciuta). Cento idee pazze e fantastiche gli attraversavano la mente.

— Mi amate? — domandò a bassa voce, coll’accento supplichevole e casto d’una preghiera.

— Sì, vi amo! — rispose dolcemente e tristamente la fanciulla.

Patrizio sentì un brivido corrergli nelle ossa. C’era tanta sicurezza in lei! tanta fede e tanta innocenza!

Nella cameretta regnava una blanda penombra, rotta in un punto solo dalla fiamma oscillante d’una candela. La città sembrava addormentata; una pioggia sottile, leggera, batteva contro i vetri — e quei due giovani soli, innamorati, si guardavano e tacevano.

L’avventura era certamente la più strana fra quante fossero capitate a Patrizio — egli non si riconosceva più — tanto meno quando la fanciulla gli disse:

— Patrizio, i due camerati sono scomparsi; non potete restare in questa camera.

E che lui si alzò, arrossendo, cercando una scusa, timido e imbarazzato come se fosse alle sue prime ar-