Pagina:Neera - Un nido, Milano, Galli, 1889.djvu/104

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96 Parte seconda.


Ella riposava con la bocca aperta, una bocca larga e brutta che lasciava vedere i denti più brutti ancora: ma Bruno la contemplava in estasi. Ai suoi occhi non vi era creatura più bella nè più perfetta. Era sua figlia, l’aveva fatta lui, gli apparteneva. Questa ragione, brutale se si vuole, ma fonte del più elevato affetto, ritornava costante nel cervello del povero padre. Che importava a lui di tutto il resto?

C’è l’amore di patria, e vero, c’è l’amore della scienza, e c’è l’ambizione che è una forma dell’amore di sè stessi, e cento e mille altri sentimenti che bastano da soli a riempire una vita; ma che serve? Egli amava quella ragazza tisica, quella ragazza che stava per morire e nessun’altra cosa al mondo poteva distoglierlo dal suo amore geloso e selvaggio.

Che fosse goffa e senza ingegno, pazienza, anzi meglio; l’avrebbe amata lui solo; e a lui bastava vederla muoversi, ridere, parlare — ma ora non parlava, nè rideva. Appoggiata al guanciale, la sua faccia livida e infossata presentava già il profilo d’uno scheletro. Dormiva e pareva che non dovesse svegliarsi più.

Sotto le pieghe della coperta si disegnavano le gambe lunghe e stecchite; un piede posava