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appena destato, e correre la cameriera in cuffia da notte.
Il coupé, misteriosamente chiuso, si fermò davanti all’umile abitazione di Roberto e la contessa, raccogliendo con ambe le manine il lungo strascico di velluto, salì ridendo le cinque scale.
— Voi qui? esclamò Roberto pallido come un morta e non sapendo se tremare o gioire per quella improvvisa apparizione.
— Vi amo! disse la sirena lasciandosi cadere ai piedi l’ampio mantello che la ravvolgeva.
E poi? Io non dirò nulla di quelle ebbrezze. Roberto credette morire.
Certo, se la contessa gli avesse chiesto tutto il sangue delle sue vene egli non avrebbe esitato a darglielo. Ma questo, non le premeva nè punto nè poco.
Ella si guardava attorno godendosi a fare la meravigliata e improvvisando dei piccoli gridi di sorpresa, delle boccuccie che volevano essere ingenue e non riuscivano altro che maliziose — ma adorabili in ogni modo.
A un tratto esclamò:
— Pittura a parte, questa camera sembra una spelonca; se devo venire a trovarvi bisognerà che vi mandi un tappeto, delle poltrone, delle tende....
Il giovane povero arrossì fino alla radice dei capelli.