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Pagina:Neera - Un romanzo, Brigola, Milano, 1877.djvu/190

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Nessuno entrava in camera dell’avvocato, alla mattina, fuorchè lei — ella sola voleva preparargli il caffè — lo guardava, lo interrogava, gli metteva la mano sulla fronte — si inquietava di trovarlo pallido e voleva fargli prendere ad ogni costo un cucchiaino di magnesia. Si assicurava co’ suoi occhi che avesse indosso il giuboncino di flanella, che non uscisse senza paracqua nei giorni di pioggia e lo ammoniva di tener dritta la testa, di non camminare come fosse inseguito dai ladri, di farsi un po’ meglio la scriminatura, di sorridere qualche volta e mettere in mostra la sua bocca vermiglia e i suoi bianchi denti. Gli dava una spalmata sulla nuca e gli diceva:

— Hai ventisette anni, ne dimostri trenta. Fai una vita da vecchio, ammuffisci prima del tempo, finirai coll’ammalarti. Di’ la verità, ti duole in qualche parte? vuoi sentire il parere d’un medico? Non sei nel tuo stato naturale.

Da cinque anni ella continuava ad assicurare che non era nel suo stato naturale. Pompeo faceva una smorfia metà sorriso metà sospiro, baciava in fronte sua sorella e non rispondeva mai altro.

Secondo l’opinione della signora Chiara, Pompeo non aveva confidenza in lei — e questo era il suo guajo immenso, il suo dispiacere più grosso, l’incubo della sua vita.