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Una giovinezza del secolo XIX 129


e un sedimento di veleni si era fatto strada nel suo cuore aspettando una occasione per traboccare. L’occasione sono stata io.

Un semplicismo troppo elementare vorrebbe dividere gli uomini in due distinte categorie, i buoni e i cattivi; ma non vi è nulla di assoluto là dove il movimento è continuo e la trasformazione legge di natura. La zia Nina era buonissima, buona con tutti, pronta sempre a rendere servizio. Bastava guardarla, quando accarezzava il mio minore fratello e si scambiavano tra loro a bassa voce paroline e baci, per riconoscere la donna nel suo istinto primitivo di amante e di madre, l’Eva dal gesto morbido e consenziente, dal grembo fecondo. Se ella avesse potuto compiere la sua missione il veleno corruttore non l’avrebbe neppure intaccata. È con profonda soddisfazione che posso affermare: ella era buona. Durante gli anni del mio martirio i suoi atti, le sue parole, i suoi torbidi silenzi cadevano sull’obbiettivo della mia mente non in modo diverso dei paesaggi che il viaggiatore accumula sugli obbiettivi della sua kodak ma che sviluppa più tardi. La mia mente, inesperta allora, accoglieva ciò che solo gli acidi e i reattivi dell’esperienza mi hanno permesso di classificare secondo il loro valore. Il