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146 Una giovinezza del secolo XIX


ben a ragione piena fiducia nelle sue sorelle, la mestizia rimaneva fluttuante nel cerchio grigio della fatalità che era piombata su tutti noi colla morte della mamma. Una sera eravamo rimasti soli nel tinello ed era quell’ora della mezza stagione in cui il giorno muore e non è ancor scesa la notte. Mi trovavo seduta, non so come, in un angolo del piccolo divano; papà venne a sedermi vicino ed a me, che nel turbamento di aver preso il suo posto stavo per alzarmi, appoggiò dolcemente la fronte sulla spalla. Io non so che cosa avvenne nel mio cuore rinchiuso e dolorante cinto da una corazza di spine. Trasalii smarrita nella mia nullità. Erano così straordinari quel gesto e quelle parole che tremai tutta, presa da umiliazione per la mia spalla tanto magra, con la paura e la vergogna di pungerlo, di fargli male, si che mi ritrassi lentamente nell’angolo del divano, rattenendo il fiato. Egli allora disse: — Non ami il tuo papà? — Oh! — feci — e non mi fu possibile aggiungere altro, e non compresi che anch’egli, povero d’amore come me, era venuto al buio a cercare la mia carezza!... Vi è cosa più triste di questo dramma di due anime? Sorvegliata, spiata, oggetto continuo di un mal volere che svisava ogni mio atto e incapace di reazione, le qualità di