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200 | Una giovinezza del secolo XIX |
militare e da allora il vederci e, più, lo stare assieme divenne un piacere raro.
Io intanto continuavo a scrivere nei pochi momenti in cui mi era concesso di occuparmi a modo mio; vale a dire quell’oretta dopo pranzo durante la quale le zie o fumavano o dicevano le orazioni. Dopo le zie prendevano in mano la calza e la prendevo anch’io, perchè mai mi sarebbe venuto in mente di fare diverso da ciò che esse mi indicavano. L’obbedienza era talmente radicata in me, che se fossi rimasta zitellona in casa, avrei continuato a obbedire fino ai quaranta e ai cinquant’anni, insoddisfatta, rodendo il mio freno, ma incapace di pensare nemmeno un atto di ribellione. Dando la parte più vitale di me alla fantasia, che per essa viveva in un suo meraviglioso mondo e per tutto ciò che era materia e zavorra accettando l’adattamento, mi ero fatta dell’abitudine un guanciale di riposo, che sotto certi aspetti, era quasi un piacere. Dirò una cosa straordinaria, dalla quale risulterà meglio quel complesso di serietà ordinata e di grottesco candore che fecero della mia giovinezza un organismo a parte, diverso da tutte le altre giovinezze. Sappiano le mie lettrici che allorquando mi feci sposa, nella valigetta destinata a raccogliere sommariamente gli oggetti indispensabili a un breve