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248 Una giovinezza del secolo XIX


crivendo con un fuscello un nome nella cenere, la vita mi stava davanti ed i miei sguardi vi si figgevano ansiosi, ma tutto era buio e mistero. Ora che mi sta alle spalle la contemplo nella sua interezza e mi chiedo se la vita, questa vita che edificai io stessa colle mie passioni e colle mie illusioni, mi ha dato tutto quello che io cercavo. Pensando alla infinità dei beni che mi furono negati, agli ingiusti apprezzamenti, all'infanzia compressa che mi lasciò per sempre l'incertezza, l'impaccio, la timidità sofferente di coloro che portarono a lungo una catena al piede, dovrei concludere che la vita mi fu matrigna e tiranna. Eppure trassi da essa le maggiori gioie che io abbia mai desiderate: amare e pensare e avere nelle mie mani un istrumento per esprimere tutto ciò. Poichè non mi prese mai desiderio di lusso e di ricchezze, e l'ambizione e la vanità mi furono del tutto ignote; abitai l'anima mia, come i califfi delle novelle orientali abitavano i loro palazzi, lungi dai rumori della folla, chiusi tra giardini meravigliosi dove saliva il canto delle fontane in zampilli d'argento e la sabbia dei viali era cosparsa di pietre preziose. O meglio, sì, meglio ancora, uno di quei conventi sospesi tra cielo e mare, sovra un picco inaccessibile, laggiù nell'Asia