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24 Una giovinezza del secolo XIX

della mia vita di venire in possesso di una voluminosa corrispondenza famigliare, che ha rischiarato molti punti oscuri dei miei ricordi mettendomi in presenza di persone morte prima che io nascessi, di altre intese appena a nominare, di altre amatissime e perdute. Attingendo a questa fonte genuina conobbi mia madre meglio che nei pochi anni vissuti insieme.

Ecco, dapprima, le letterine eleganti su foglietti arabescati che dal collegio scriveva alla madre in occasione del di lei onomastico; lettere tenere e rispettose, dove il pronome in terza persona è rigorosamente conservato; poi quelle alle sorelline, riboccanti d’affetto; infine la corrispondenza con mio padre durante il lungo periodo del fidanzamento, inutilmente contrastato da invidiosi e da maligni (queste lettere sono tra le più pure che mai amanti si sieno ricambiate); finchè dalla ritenutezza della fanciulla si giunge alla frase appassionata della sposa felice, che nelle brevi assenze di lui trova vuoto il mondo. È durante una di queste assenze, che mi vedo ricordata per la prima volta con queste parole che non dovevo mai udire dalle sue labbra "l’angioletto nostro, la nostra adorata bambina". Ma allora io ero ancora presso la nutrice e lei nella pienezza della gioventù.