Pagina:Neera - Una passione, Milano, Treves, 1910.djvu/265

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— Non possiamo restar qui in eterno.

Egli diede un balzo e la prese per l’alto delle braccia immergendole uno sguardo fino in fondo alle pupille.

— E dunque?

Ansimarono l’uno di fronte all’altro, pallidi, torturati, paurosi eppure decisi. Gli sguardi si incontrarono perdutamente. Qualche cosa in vero si franse da quell’istante nelle loro anime.

— Senti.

Lilia aveva detto: «senti», lasciandosi cadere sulla poltrona, trascinando con sè l’amante che le si inginocchiò dinanzi. Ma parve che in quello sforzo si fosse momentaneamente esaurita perchè rimase colle mani appoggiate sulle spalle di Ippolito, muta; forse sentiva che parlando avrebbe pianto; e non voleva piangere.

— Lilia? Lilia?

Nella voce di Ippolito bassa e supplichevole c’erano singulti, c’erano lagrime, c’eran voluttà e speranze, c’erano dolci tirannie ed umili dedizioni e squilli di vittoria; c’era tutta la sua passione schietta, giovanile, impetuosa, ignara.

— Lilia, che vuoi dirmi?

Oh! il rapido volgere degli istanti su quel dramma intimo di due cuori! Ella levò le palpebre sul fanciullo inginocchiato, suo, così suo che avrebbe potuto annientarlo con un semplice cenno della sua volontà, e tanta onnipotenza