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Pagina:Neera - Vecchie catene, Milano, Brigola, 1878.djvu/102

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chezza menar tanto rumore e insuperbirsi quasi per un avvenimento così naturale? Tant’è, gli sembrava di contare qualche cosa di più, di avere maggiori diritti a vivere; sentiva crescere l’energia e la forza. Tornava giovane, fanciullo ancora, come quando scorrazzava nell’orto dello zio curato, e non conosceva nè Senofonte, nè la baronessa.

A proposito.

Cristina trovava queste smanie esagerate; la felicità dei due giovani l’irritava, e solo la paura del ridicolo la tratteneva da una spiegazione con Luigi.

Oramai non restava più che una freccia al suo arco — imporsi coll’austerità della religione. La sua bellezza, possente fino al giorno in cui erasi compiuto il matrimonio di Diana, era decaduta colla rapidità fulminea di quel pendio ove, come canta Parini: precipita l’età. La gelosia, orribile mostro che dilania e che divora, solcava le sue carni; sotto la tensione del pensiero i suoi capelli imbiancavano, e gli occhi torvi e spossati non avevano più scintille che per l’odio.

Vestiva rigorosamente di nero, e ravvolta nelle ampie pieghe della sua gonna di velluto appariva ancora una bella donna per la maestà del portamento, per le linee grandiose e per le traccie incancellabili del profilo scultorio — ma non poteva competere con Diana, meno bella, meno perfetta, anzi imperfettissima, eppure raggiante nella bionda aureola de’ suoi vent’anni e del suo cuore innocente.