Pagina:Neera - Voci della notte, Napoli, Pierro, 1893.djvu/69

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Paesaggio 63


senza rumore, di lunghe carezze di felci, di baci lievi e tenaci d’edere salenti all’amplesso della quercia...

Altrove, profumi sottili di timo in fiore, corolle che si chiudevano quasi esauste, ubbidienti al destino. Dovunque la vita occulta della natura, il fermento delle piante, l’amore degli insetti, la fecondazione della terra: e tutto ciò, nella notte altissima, quieta, sacra ai misteri.

Dov’era la lucertolina che più non sgusciava di sotto ai sassi? Dov’erano le farfalle, le grandi farfalle bianche, azzurre, nere? Dormivano i fiori? e dormendo, sognavano? Di chi sognava la margherita, fior delle fanciulle? Di chi la rosa fiore dei talami? Di chi la viola fiore delle tombe?

Tutto passa! sussurrava l’antico castano le cui fronde albergavano tanti ricordi. Tutto rinasce! diceva il frusto eretto della giovane betulla, guardando il cielo.

Lungo i viottoli, nei radi della selva, i fantasmi si inseguivano molli, vaporosi, simili a fasci di veli vaganti, a grandi ali invisibili agitate nelle tenebre; e s’abbattevano sui prati, terribili, minacciosi, disegnando immani ombre nere, finchè un raggio, toccandoli, li faceva sparire in nebbia evanescente.

Nella assenza degli uomini, parlava l’anima delle cose; mentre taceva la vita diurna, correva intorno la dea della notte, suscitando odii, guerre, vendette, rapine, tradimenti e amori e delizie e idilli nascosti in un ciuffo d’erba, e duelli a morte nel calice di un gelsomino.

Rideva la fantasia, cozzandosi al tronco dei forti alberi, pensando le fiammate dell’inverno, sotto il caminetto, quando la damina vi avrebbe accostato il piede nudo prima di coricarsi. Spargeva la voluttà le sue arcane essenze nel pro-