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260 | L'uomo e la macchina |
gli appartenne, fu carne e sangue e palpito
d’amante, amata in pena ed in delizia:
tutto di lei scrutò, strinse, plasmò,
distrusse, ricostrusse, idoleggiò.
Sotto una tenda, avvolto in un cinereo
lucco d’artiere, fra strumenti e cinghie,
dì e notte visse, in veglia intenta e cruda
a fianco della sua macchina ignuda.
Scordò per essa le dolcezze semplici
della vita mortale, i cieli e l’acque,
il desco bianco ove si frange un pane
di pace — e il cerchio delle cure umane.
L’erba scordò che dice all’uomo: «Stenditi
sulla freschezza mia, sogna, ristòrati:»
— il sol che gonfia i germi e arrossa i tralci
e fra le spighe il lampo delle falci.