Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu/180

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174 confessioni


più, mai più avrei potuto ritrovare.... quel qualcosa era, invece, qualcuno. Ero io.

“Io appartenevo a lui, avevo l’obbligo di pensare come lui, di adornarmi secondo il suo stile, di uscire quando a lui ne veniva il capriccio, di leggere i libri da lui stesso scelti, di dirgli di sì quando il mio cervello avrebbe spontaneamente gridato: No. Mi aveva comprata, ero cosa sua. Il suo modo abituale di cingermi col braccio le spalle, attirandomi a sè, mi vuotava l’anima in un sorso, lasciandomi smarrita, senza volontà ma anche senza gioia — un piccolo niente che soffriva.

“Egli si accorse della mia inconscia resistenza, e se ne irritò. E cominciò a farmi del male, così, pel piacere di farmi del male.

“La cameriera mi aveva portato un gattino, un delizioso gattino bianco con una stella nera in fronte, che io m’ero messa a viziare, da quella bambinona che ero. Ingarbugliava le sete de’ miei ricami, giocherellava con la catenella del mio orologio e la mia collana di perle; mi mandava in estasi con le sue mossette feline, la sua morbidezza di pallottola calda. Un mattino, mentre me lo tenevo in grembo, vezzeggiandolo infantil-