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Pagina:Negri - Le solitarie,1917.djvu/31

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nella nebbia 25


penetranti; ma, debole e incerta creatura crepuscolare, tentava, illudendosi, di sopire dentro di sé vergogna, dolore, rimorso.

La verità era questa: tolte le obliose ore del sonno, non un minuto della vita di Raimonda era trascorso senza che, — nel camminare, nel parlare, nel ridere, durante le più gravi e le più semplici occupazioni, sola o fra molti — ella non si fosse veduta nell’inesorabilità della sua laidezza, con quei terribili occhi in dentro, che non ingannano mai.

Per questo, nella propria camera, non teneva specchi. Per questo, portava feltri o cuffiette di paglia d’un’estrema semplicità, che si potessero calcar sul capo alla brava, senza aiuto di spilloni; e vi avvolgeva intorno larghe e fitte velette a fiorami, le quali tuttavia non riuscivano a nascondere compiutamente il segno del fuoco.

Talvolta, a notte alta, un incubo angoscioso la svegliava di soprassalto, col batticuore; ed ella sbarrava nel buio gli occhi ancor ciechi di sonno; e, subito, nell’implacabile memoria dei sensi le si scolpiva la visione del proprio volto; e pensava, con terrore, la disgraziata, che l’ombra sarebbe svanita con la