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giamento d’impassibile idolo, che tanto si addiceva alla sua bellezza.

Egli, sì; egli impazziva d’amore.

E quando l’improvvisa morte del padre lo richiamò a Vienna per regolare le complicazioni d’un’eredità quasi principesca, nel dire addio alla fidanzata sentì che il cuore gli si rompeva; ma, corretto fino allo scrupolo, nulla del suo spasimo lasciò travedere.

Sarebbe ritornato fra sei o sette mesi. Scriveva tutti i giorni. Sognava e soffriva di lei tutte le notti.

Donna Augusta intanto, a scacciar la tristezza, fu mandata dai genitori, come allora era costume, in «visita» per qualche settimana in una casa amica: del marchese Savelli, a Pontevico.

Era costui un gentiluomo, ammogliato e padre d’un grappolo di forti bambini: ancor giovine d’anni, prestante della persona e di modi cavallereschi. Si chiamava Arnoldo: schermidore e cacciatore formidabile. La sua villa era in quel tempo gioiosa d’ospiti. Quand’egli per caso si trovava accanto a donna Augusta, l’uguale impressione colpiva tutti i presenti sembravan fratelli.