Pagina:Nerucci - Sessanta novelle popolari montalesi.djvu/219

Da Wikisource.

di marmo. Figuratevi la disperazione della sorella, quando vedde intorbita l'acqua della boccia del fratel minore! - I' son io la sciaurata che gli ho morti. Ma, tant'è, vo' ire a ricercargli. Difatto la si mette 'n via e lei pure arriva in dove era il solito vecchino; lei però nun gli arrispose a traverso, quando lui gli domandò: - Ragazzina, in dove andate a coresto modo solingola? - Che volete! I' avevo du' fratelli e mi viense la brama che mi portassino il Canto e il Sòno detta Sara Sibilla, e loro gli andettano a cercarlo: ma nun gli ho più visti e dicerto sono morti a quest'ora. Me sciaurata! I' son io che gli ho morti! - Eh! Se mi devan retta, la disgrazia nun gli accadeva, - disse quel vecchino. - Come? Oh! che gli avete visti? Addov'ènno? Per carità, ditemelo. Ma che son morti loro? - Morti no, ma quasimente. Èn diventi du' belle statue di marmo e della compagnia nun gliene manca. Ma se vo' mi date retta, ragazzina, vo' poteressi riavergli sani e vispoli, purché vi rinusca impadronirvi del Canto e Sòno della Sara Sibilla. Del coraggio n'aete voi? Badate, veh! che ce ne vole dimolto, ma dimolto del coraggio. Dice lei: - Purch'i' ritrovi i fratelli, i' son disposta ad ugni cosa. Del coraggio a me nun me ne manca, e i' n'ho a dovizia. Dunque che ho io da fare? - Decco. Vo' vedete questo stradone lungo lungo: bisogna ripire per insino in vetta. Lassù c'è un prato e d'attorno tante statue di marmo, e le prime son quelle de' vostri fratelli: tutte quell'altre sono di cavaglieri, di re, di principi che han cerco il Canto e il Sòno della Sara Sibilla, e rimasano lì impietriti in pena del su' ardimento. In sull'entrata del prato ci stanno du' leoni feroci a far la guardia, e nun lassan passare nimo, se nun gli si dà un pane per uno a mangiare; ma quando l'han mangio, loro s'abboniscano e vanno a accompagnare il forastiero. Quand'uno è dientro al prato, bisogna che nun si fermi mai, e giri e giri in tondo a guardare tutte quelle statue: poi, alle ventiquattro, che sarà buio, s'ha da metter ritto e fermo 'n mezzo del prato e aspettare che sòni la mezzanotte. A mezzanotte 'n punto nasceranno de' gran rumori e comparirà una scala di cento scalini: subbito bisogna montarla per insino a cinquanta scalini e lì aspettare daccapo. Ma non ci vole temenza, veh! Perché si vede scendere un'ombra smensa, [203]