Pagina:Nietzsche - La Nascita della Tragedia.djvu/133

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l’enimma di edipo 81


dire, da rimedio all’abbagliamento: al contrario, le apparizioni luminose dell’eroe sofocleo, in una parola, l’aspetto apollineo della maschera, sono prodotti necessari dell’aver guardato nell’intimo e nel terribile della natura, cioè sono esse stesse, per così dire, macchie lucenti a soccorso dell’occhio offeso dall’orribile tenebra. Solo in questo senso ci è dato credere di comprendere congruentemente il concetto serio e importante della «serenità greca»; laddove per tutte le strade e i sentieri del presente incontriamo invece il concetto falsamente inteso di cotesta serenità, interpetrata come inattaccabile benestare.

Il personaggio più doloroso della scena greca, l’infelice Edipo, fu inteso da Sofocle come la figura dell’uomo nobile, che nonostante la sua saggezza è destinato all’errore e alla miseria, ma che alla fine, stesso in virtù del suo enorme patire, esercita intorno a sé un incanto benedetto, duraturo ed efficace anche dopo la sua morte. L’uomo nobile non pecca mai, vuol dirci l’animo profondo del poeta: vada pure in fascio, per sua opera, ogni legge, ogni ordine naturale, perfino lo stesso mondo morale: ebbene, appunto per l’opera sua sarà messa in moto una più alta sfera magica di azioni, che va a fondare un nuovo mondo sulle rovine del vecchio andato in precipizio. Ciò vuole istillarci il poeta, in quanto è, insieme, pensatore religioso: come poeta egli principia col mostrarci un groviglio processuale prodigiosamente intricato, che il giudice scioglie lentamente, nodo su nodo, a sua pro-