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206 capitolo ventiquattresimo


fico del grado meno intenso dell’arte apollinea; vale a dire, non era dato conseguire col dramma nonostante la maggiore animazione ed evidenza che gli sono proprie, la potenza caratteristica dell’epos e della pietra animata, quella, cioè, di avvincere lo sguardo dell’osservatore e immergerlo nel tranquillo incanto del mondo dell’individuatio. Noi abbiamo osservato il dramma, e con occhio acuto abbiamo penetrato l’intimo mondo commosso dei suoi motivi; nulladimeno ci è capitato come se ci stendesse davanti non più che una allegoria, di cui credevamo quasi d’indovinare il senso più profondo, e che desideravamo di sollevare come una cortina, per scoprire dietro a quella l’immagine primitiva. La più limpida chiarezza dell’immagine non ci bastava; giacché ci pareva che questa altrettanto ci svelasse qualche cosa, quanto ce la velasse; e mentre con la sua rivelazione simbolica sembrava invitarci a strappare il velo, a scoprire lo sfondo misterioso, ecco che precisamente quella vistosità rischiarata da tutte le parti tornava a fermare l’occhio e lo tratteneva dal penetrare più addentro.

Chi non lo ha provato, chi non ha provato come si possa nello stesso tempo guardare una cosa e, insieme, anelare a spingersi di là dalla cosa guardata, difficilmente intenderà con quale precisione e chiarezza questi due processi si svolgono l’uno accanto all’altro e sono sentiti l’uno accanto all’altro quando si assiste allo spettacolo del mito tragico; laddove invece gli spet-