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10 autocritica


ricorre sovente la caustica tesi, che l’esistenza del mondo non si giustifica altrimenti che come fenomeno estetico. Col fatto, l'intero libro riconosce unicamente un intendimento e un sottinteso artistico in tutto il creato: un dio, se così piace dire, ma certamente un dio artista affatto istintivo e amorale, che nel costruire come nel distruggere, nel bene come nel male, intende di uniformarsi al suo proprio benpiacere e alla propria gloria di dominio, e che, creando il mondo, si spaccia dalle pastoie della pienezza e dell’esuberanza e dalla pena delle contraddizioni che in quello si ammatassano. Il mondo, concepito come la liberazione di un dio raggiunta a ogni istante, come visione eternamente cangiante, eternamente nuova del massimo soffrire, della massima opposizione, della massima contraddizione, che è capace di redimersi solamente nell’apparenza della realtà: è questa un’intera metafisica da artista, che può definirsi arbitraria, oziosa, fantastica; ma in essa l’essenziale è, che già prenunzia una mente, che un giorno si porrà allo sbaraglio contro l’interpretazione e significazione morale dell’esistenza. Vi si annunzia, forse per la prima volta, un pessimismo «di là dal bene e dal male», e vi trova il suo verbo e la sua formola quella «perversità del sentimento», contro la quale lo Schopenhauer non si è stancato di avventare anticipatamente le sue più furibonde imprecazioni e le sue folgori: una filosofia che osa, nientemeno, di collocare la stessa morale nel mondo fenomenico, di degra-