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del fantastico in letteratura | 13 |
sanguinosa lotta fra due popoli furenti e decisi a distruggersi per sostenere o per riparare il ratto e l’adulterio: era il processo morale del giusto e dell’ingiusto, dibattuto nell’interesse generale degli uomini, fra il cielo o l’inferno, sotto gli occhi di un’Elena che ne era il prezzo e non l’oggetto, e che più felice dell’altra, potea alzare il velo senza arrossire davanti ai due campi. Questo fu, è d’uopo confessarlo una meravigliosa poesia, un ordine d’invenzione tale che se gli antichi avessero avuto gli Amadigi, noi non parleremmo forse di Achille; una imaginazione grandiosa e attraente, che non si rinnoverà più e che si rimpiangerà sempre, come la giumenta di Orlando così bella, così forte, così agile, che imprimeva si vigorosamente il suo piede sulla sabbia della lizza e del campo di battaglia, della quale la mano delle principesse aveva ricamato la gualdrappa e la bardatura, e che è morta.
Se fossi capace di provare qualche briciolo di odio contro Cervantes, forse gli rimprovererei d’aver contribuito più di tutti a rapirci queste deliziose fantasie del genio medioevale, che egli spezzò con maggior facilità i quella con cui don Chisciotte aveva rotti i burattini di Ginesilla. Però devo convenire che quest’opera di distruzione, la quale d’altronde ci ha procurato uno dei più bei libri prodotti dall’immaginazione dei moderni, era probabilmente la condizione indispensabile del suo destino letterario. Allorchè le favole d’un popolo sono invecchiate, lo spietato istinto di cangiamento insito in lui, a tempo e luogo si fa sentire e indica agli uomini, per mezzo di certi segni che bisogna ricominciare la vita sociale con nuovo lavoro, senza riguardo allo tradizioni e alle simpatie del passato. Allora tale istinto scatena dei genii schernitori, che spinti da un odio irriflessivo si fanno de’ sonagli con quanto i secoli anteriori hanno venerato, e giocano con questi avanzi d’una civiltà morente, proferendo parole d’ironia e di sprezzo, come Amleto, pesando la cenere dei morti e analizzando nel cranio d’un pazzo le forze dell’intelligenza, davanti la fossa di Yorik.
È così che sorse Luciano alla fine del paganesimo, Cervantes dopo il periodo cavalleresco, Erasmo e Rabelais colla riforma, e Voltaire avanti le rivoluzioni politiche che dovevano accompagnare la grande conflagrazione del cristianesimo. Quando un ordine di cose muore, vi è sempre qualche demone ingegnoso che assiste ridendo alla sua agonia e che col bastone dei buffoni gli dà il colpo di grazia. Il primo genio fantastico del rinascimento tanto pel tempo, che per la sua superiorità, poichè nei capolavori che lo rivelano, il genio non è progressivo, è