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del fantastico in letteratura | 15 |
bile del condannato, nel romanzo psicologico di Vittor Hugo, è una emanazione locale, parziale, inestensibile, ora incomunicabile, che agì con tutta la potenza del principio, da cui emanava, ma limitata sur un punto, in una circostanza rara e attraverso un mezzo insensibile come il calore d’un sole che si eclissa e che accende ancora la polvere attraverso una lente di ghiaccio. Il mondo creatoci dalla civiltà non ne permette di più.
Così la venerata tradizione della Divina Commedia non ha prodotto un’opera commendevole sullo stesso stampo presso il popolo della terra che meglio la sa apprezzare. Essa è rimasta come un monumento inviolabile e inaccessibile dei tempi andati, alla frontiera estrema della letteratura Italiana, e il rispetto che si ha per cose sacre, pareva difenderla per sempre dall’impotente temerità dei copisti. La nuova maniera d’invenzioni coltivata di tratto in tratto nello stesso paese, lo spirito, l’immaginazione, il genio o poi quell’industria infallibile d’imitazione che dovunque corre ad unirsi al corteggio delle muse creatrici, e che finisce nei tempi cosidetti classici per ornarsi delle loro corone, era comune all’Europa tutta; ma solo l’Italia aveva ancora il privilegio d imprimere alle sue scoperte un suggello immortale, perchè la sua lingua era fatta. A lei spettava l’arricchire le nostre cronache, i nostri romanzi delle facili bellezze, di una versificazione libera e graziosa, e d’altronde nel sottometterle al metro armonioso delle sue ottave le liberava dai rimproveri più severi di una critica sguaiata, tollerando lino a nuovo ordine per condiscendenza all’antichità le bugie ritmiche.
Per servirsi del linguaggio famigliare di questa poesia, sarebbe facile tanto a enumerar le stelle del cielo e le sabbie del mare che le epopee cavalleresche dei più ingegnosi spiriti di tutto le epoche letterarie. I curiosi ne conservano più di cento anteriori all’Ariosto e che l’Ariosto ha fatto dimenticare, come Omero aveva fatto dimenticare le rapsodie de’ suoi ignoti predecessori. Quale immaginazione infatti non avrebbe impallidito di fronte a questa immaginazione prodigiosa che, ridendo, sottometteva alle sue combinazioni piene di grazia, di freschezza e d’originalità le tradizioni d’una storia oscura e le deliziose visioni d’una mitologia nuova, ingiustamente negletta? Si disse che Esiodo era stato nutrito col miele dalla mano delle figlie di Pindo. Oh! sono state le fate che hanno nutrito l’Ariosto con qualche ambrosia più inebriante, e che hanno comunicato a’ suoi divini scritti l’invincibile seduzione de’ loro incanti? Come dubitare della magia quando il poeta, mago egli stesso, s’intrattiene a suo piacere negli spazi, alla intelligenza umana