Pagina:Notizie del bello, dell'antico, e del curioso della città di Napoli.djvu/190

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con riti particolari si creavano, come appresso il nostro gran Monarca crea i suoi, che vengono chiamati d’abito,

    popolo, a’ tempi di che discorriamo, era il titolo legittimo de’ Duchi, e la dignità di patrizio e consolo lor non veniva conceduta che per ispezial favore de’ Sovrani d’Oriente, verso de’ quali tutta l’obbedienza nostra si ridusse a ciò che nel ducato segnavansi e spedivansi gli atti governativi secondo gli anni del loro impero. Governò Napoli ventiquattro anni dal 982 Sergio III, ultimo Duca di, questo secolo, e suo maggior provvedimento fu di fermare i buoni ordini dello Stato con punir severamente chi, poco sollecito dell’integrità de’ nostri diritti, segrete pratiche teneva coi baroni forestieri, e spezialmente con gli Arabi, contro i quali armò nove navi, di cui quattro custodissero e difendessero il porto e cinque fossero in vela per imporre rispetto a quella gente, che del continuo infestava devastando le contrade napolitane. A questi tempi il Vesuvio vomitò gran fuoco e cenere per cinque giorni, sì che dicevano non esservi stata mai eruzione eguale, e dopo cinque giorni un fiorissimo terremoto recò alla città inestimabile danno.
       A questo Duca succedette Sergio IV ne’ primi anni del secoloXI (1006), in che sei duchi segnano i nostri più accurati scrittori. L’anno 1027 nota un avvenimento assai doloroso per la nostra città, essendo qui venuto Pandulfo di Capua e far vendetta sul Duca per aver raccolto un conte di Teano che molte ingiurie gli aveva recato nelle terre di suo dominio. Sergio ed il suo ospite, non volendo condiscendere ad aprir le porte a que’ Longobardi, avevan condotto a tale i Napolitani che per fame morivano: onde si fu risoluto di venire a patti col nemico. Ma ciò saputosi dal Duca, notte tempo col suo protetto fuggiron per mare, lasciando il popolo privo di forza e di consiglio. Entrarono nella città i Longobardi il giorno appresso, ed empironla di violenze e terrore: inseguiti, ed uccisi i cittadini; le donne insultate e villanamente olfese; non risparmiavansi i vecchi, nè i fanciulli; il palazzo del comune messo a sacco; depredate, arse le case de’ patrizi non meno che de’ mercatanti; e trascorse tanto la rapacità del vincitore, che, penetrato ue’ monisteri e nelle chiese, tutto devastando, ne involò gli ori, gli argenti, i preziosi doni, gli arredi