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prologo. | 91 |
assoluto nessuno l’ha visto, nessuno l’ha sentito e ― che vi sia ciascun lo dice ― dove sia nessun lo sa. È più facile scriverne un trattato come fece il Gioberti che darne una definizione chiara ed esatta in modo che tutti la capiscano. Ecco dunque come è facile a questi critici metafisici l’aver sempre ragione. Sentenziano essi che un’opera è più o meno bella, secondo che si accosta più o meno a questo bello ideale ed assoluto. Ammesso questo postulato, tutto è finito. Mancando un termine di confronto, poichè questo bello assoluto è l’araba fenice, la via pei difettivi sillogismi e per le sentenze dogmatiche è già spianata. Così la Pizia rispondeva invece del Nume e così certi critici seggono sul tripode ed eiaculano l’oracolo da bravi sacerdoti dell’assoluto metafisico. Così sappiamo soltanto da loro quando un’opera si accosta o si allontana dal bello ideale ed assoluto, ed il buon lettore che studia le loro sentenze dopo pranzo, non potendo far confronti per mezzo del giudizio proprio, perchè il bello assoluto non lo conosce neppur di vista, per forza deve credere al critico che fa le mostre di conoscerlo lui così bene e di esserne intimo.