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prologo. 65

squarci messi in bocca ad un eroe qualunque: ma noi intanto facciamo peggio, considerando come storia della vita vera di Dante le allucinazioni mistiche della Vita nuova.

Questo sbaglio mi pare che derivi da una interpretazione troppo assoluta dell’oraziano:


. . . Si vis me flere dolendum est
Primum ipsi tibi; tunc tua me infortunia laedent.

Non si bada che qui si dice soltanto quello che tutti gli autori comici sanno bene, cioè che per trascinare il pubblico agli applausi bisogna sentire la parte, non già averla fatta per davvero nella vita. Oh, allora lo Schiller che razza di birbone sarebbe stato, egli che ha pur sentito e scolpito il Franz Moor ne’ Die Rauber? E la signora Virginia Marini quando recita con tanta verità la Messalina del Cossa, per chi la prendete dunque con questa teoria? Ma date voi alla parola verità lo stesso significato nell’arte che le dà il computista ne’ suoi libri? Allora siete più veristi di noi; allora sì che c’è da gridare: arte mia, buona notte!

Non diciamo che si debba scrivere soltanto

Stecchetti. 5