Pagina:Novelle lombarde.djvu/10

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Chi dalle efimere fatture dell’uomo, somiglianti alla crisalide che il baco sospende al ramo e che domani la pioggia scarmiglierà, si compiace voltare lo sguardo alle meraviglie della natura e leggerne sulla faccia della terra gli stupendi rivolgimenti, troverà ad ogni passo le prove di questo fatto; ma verun cenno non ne fu conservato nè dalla storia nè dalla tradizione. Invasioni di feroci stranieri, muta pressura di superbi dominatori, tenevano allora l’uomo avvilito e minor di sè, tanto occupato dalla nequizia dell’ora presente, che non pensava nè a rivangare il passato, nè a provvedere alla memoria degli avvenire.

Disperso o ristretto l’Eupili, la parte più elevata di quel che già era letto del lago si convertì presto in campagne, la cui cultura diede essere ed occupazione ai grossi villaggi, onde oggi quel piano è distinto: le bassure rimasero paludi, ove, qual volta la stagione corresse piovosa, l’acqua tornava a riprendere il suo dominio, siccome una cattiva consuetudine che a volta a volta rifiglia colà d’onde fu male sbarbicata. Sempre poi non verdeggiavano che di cannucce e di càrice ingrata, ove la nuda ghiara non ingombrasse così, da dar luogo appena ad ispidi vétrici e ad ingrate scope.

Pochi di que’ luoghi durano tuttavia in sì abjetta apparenza: altri, a memoria de’ più giovani, furono ridotti a pioppeti, a prati, a colti; più assai nel secolo passato sentirono il risorgere dell’industria, che, al favore della pace e di più avveduti e liberali ordinamenti, smorbava l’aria, guadagnava i campi, preparava nuovo sostentamento alla generazione futura, la quale, cresciuta di numero e d’agiatezza, avrebbe lodato i faticosi parenti; — lodati