Pagina:Novelle lombarde.djvu/168

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dell’averlo detto altri e dell’esersi sempre fatto così: onde compatendo la sua caparbietà,

— Eh! queste cose è un pezzo anch’io che le rimeno pel pensiero; ma per manco male non pizzichiamo questa corda; tanto più che il rimediare a tali sconci non dipende nè da voi nè da me; e coloro che li cagionano odono soltanto le vittorie ed i Te Deum. Poi ci ha di mezzo tanti altri garbugli, che la più sicura è portarseli in pace come la febbre, come la gragnuola».

— Oh quelle (ripigliava Carlandrea) quelle vengono da Dio: ma coteste.... Basta: la dice bene; lasciamola là. Come dunque le contavo o volevo contarle, un dì, per procacciar da vivere (pane, s’intende, o farina ed uova e qualche uccello che mi capitasse sotto al tiro) io m’era discostato alquanto, allorchè rivenendo, vedo — oh cosa mai vedo! Due di coloro, in giulecco verde, con certe bracacce larghe, legate ivi su d’una cintura rossa, beretto rosso al capo, gran barba: le picche aveano confitte in terra, ed un di loro batteva in malo modo la madre della mia Rita, mentre l’altro, fattosi contro di questa, voleva strapparle gli orecchini, torle il vezzo dal collo, e chi sa qual cosa di peggio.

Pazienza, a rivederci! Senza sapere quel che mi facessi, spiano il fucile, nè stando a dirgli guarda, traggo — l’ammazzo. Al tempo stesso, gridando a quanto me ne usciva dalla gola, mi diffilo verso quell’altro. Costui, come insieme udì il colpo, vide il camerata spacciato, e me in atto di volerlo sorbire, saltò su, e urlando Urah urah, Franciosi, Giacobini, traboccossi a rotta di collo giù per le pancate