Pagina:Novelle lombarde.djvu/226

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quale su quello de’ vistosi garzoni della terra. I quali poneano ben mente qual fosse il dono offerto dalla loro prediletta, per acquistare poi buon merito ricomprandolo all’asta.

Più di tutte fermò lo sguardo di lui la Caterina, fanciulla tra i diciotto e i vent’anni. Que’ due occhi color di cielo, che non fissava in volto nè in terra, ma con modesta franchezza girava; il più bel capo di biondi capelli di tutto il paese, talchè soleva essere trascelta a rappresentare la Maddalena nelle processioni del giovedì santo, non bastavano, è vero, a renderla la più bella, ma dalle sue fattezze spirava quel non so che di dolce e d’ingenuo, che invano voi cercate di supplire coi vezzi studiati, o cittadine. Ella menavasi dietro un agnellino carezzevole, bianco e pulito siccome il suo grembiule, tutto messo a nastri rossi e azzurri, e sulla fronte una rosa, e attorno al collo un monile di margheritine e di pamporcini inanellati. Traendolo per un cordoncino rosato, veniva la buona Caterina: e anch’essa dava un’occhiata ad un giovinetto che stava appartato dagli altri, pensoso in vista; gli dava una di quelle occhiate, in cui si mescolano innocenza, desiderio, timore; occhiate che dicono tutto, ma tutto ad un solo. Indi alzò le pupille al cielo, e le si empirono di lacrime.

Nulla passò inosservato al signor Ernesto, il quale questi semplici amori commentava da uomo che all’amore più non crede; e, chi sa? forse meditandone una conquista, le tenne dietro nel santuario. Finito il cantare de’ vespri, le fanciulle intonarono le litanie: — commovente orazione, ove dalla madre di Dio e madre nostra preghiamo che preghi per noi.