Pagina:Novelle lombarde.djvu/264

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rina, «deliziosa piaggia (dice un secentista) cinta per ogni lato di ombrose piante, quasi armigere guardiane provvedute di smisurate lancie, che sono i lor rami, dando ad intendere di starsene quivi per tener lungi gli orgogliosi danneggiatori di così delicate vaghezze. Chiamasi Strada Marina (prosegue costui), non che le sia contiguo il mare, ma perchè ne’ cocchi sogliono in lei ondeggiare a centinaja le dame di Milano, lasciando solo ingolfati nelle maree quegli occhi che le stanno osservando».

Il corso poi del carnevale menavasi lungo la corsia di porta Romana e la strada Larga, ed erasi introdotto il mal vezzo di lanciar dalle carrozze e dalle finestre aranci e mele e uova; e schizzare acque nanfe, alle quali qualche mal educato sostituiva talora delle schifezze. Questo brutto uso fu proibito; quel delle uova costumavasi anche a Firenze, onde uno dei canti carnascialeschi di colà comincia:

          Maschere (donne) siamo, e travestiti
               Venuti questo giorno a bella prova
               Sol per farvi coll’uova
               Un’amorosa guerra;
               E ziffe, ziffe, zaffe, e serra serra.

Le maschere vengono anch’esse dall’antichità; e già, come da noi, ve n’avea di due sorta. Le maschere dell’Arlecchino, Pulcinella, Dottore, Pantalone e quegli altri tipi immutabili della commedia a soggetto conoscevano pure gli antichi. Il nostro Arlecchino chiamasi anche lo Zanni, chi nol sa? Ebbene, par che quel nome venga dal Sannio, il cui tipo o la contraffazione figuravasi in un coso