Pagina:Novelle lombarde.djvu/31

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ozj orgogliosi e dissoluti delle anticamere, e coll’esempio di que’ cupi, inesorabili, devoti monarchi, suo padre lo tratteneva sovente col racconto di quel fatto, gli mostrava il teschio dell’ucciso, che con irosa venerazione serbava nella propria camera; e massimamente ogniqualvolta avvenisse loro di trovarsi nel bosco d’Imbevera, più al vivo dipingendogli quell’atrocità, gl’inculcava il sacro dovere che l’onore impone ai nobili di vendicare i parenti; più volte avevano insieme ruminato il modo di ridurlo ad effetto, e quanto sarebbe decoroso alla casa e a loro di consumare la vendetta colà appunto ove sorgeva il monumento dell’oltraggio.

Venuto poi in caso di morte, il padre chiamò a sè don Alfonso, e togliendosi di collo un medaglione d’oro su cui era improntata la madonna, — Vedi tu (gli disse) questa santa effigie? La portava di continuo in petto la buona memoria di don Giberto mio padre. Pensa se la serbai preziosa! Ed ora, sul punto di abbandonarla colla vita, a te la lascio, Alfonso mio; ma con essa ti lascio un dovere sacrosanto, di vendicare colui al quale dapprima appartenne. Di quante inimicizie esercitò la nostra famiglia, sempre, grazie a Dio, n’è uscita con onore, nè alcuno si potè mai vantare d’averle usato un sopruso, che non ne patisse il centuplo di danno. Tu non degenerare da’ padri tuoi; ma serba intatta questa gloria, figliuol mio. Poss’io morire consolato di tale fiducia?»

Quando il figliuolo tra i singhiozzi glielo ebbe promesso, tutto egli rasserenossi, e poco dopo spirò.

Lui sventurato se migliori sentimenti non concepì avanti di presentarsi ai giudizio, ove i debiti nostri