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Pagina:Novelle rusticane (1885).djvu/151

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storia dell’asino di s. giuseppe 137

«Quello era la nostra sorte; quel pelame bianco e nero porta allegria nell’aia; e adesso le annate vanno di male in peggio, talchè abbiamo venduto anche il mulo».


Massaro Cirino aveva aggiogato l’asino all’aratro, colla cavalla vecchia che ci andava come una pietra d’anello, e tirava via il suo bravo solco tutto il giorno per miglia e miglia, dacchè le lodole cominciano a trillare nel cielo bianco dell’alba, sino a quando i pettirossi correvano a rannicchiarsi dietro gli sterpi nudi che tremavano di freddo, col volo breve e il sibilo malinconico, nella nebbia che montava come un mare. Soltanto, siccome l’asino era più piccolo della cavalla, ci avevano messo un cuscinetto di strame sul basto, sotto il giogo, e stentava di più a strappare le zolle indurite dal gelo, a furia di spallate: «Questo mi risparmia la cavalla che è vecchia, diceva massaro Cirino. Ha il cuore grande come la Piana di Catania, quell’asino di san Giuseppe! e non si direbbe».

E diceva pure a sua moglie, la quale gli