Pagina:Novellette e racconti.djvu/111

Da Wikisource.

novella lviii. 101

poi si volta per dare indietro; ma pure finalmente adagio adagio, come s’egli avesse calcate le uova, giunge ad un canto donde si potea vedere il rivale; e parendogli, come suol avvenire a chi ha sospetto, che si movesse e forse di udirlo a bestemmiare, cominciò piuttosto a volare che a correre verso la bottega, nella quale entrato, fingendo che il correre derivasse dall’allegrezza della fatta vendetta, incominciò a dire la zuffa ch’egli fatta avea, la resistenza ritrovata, e che finalmente avea sforacchiato il nemico come un crivello e lasciatolo che spirava. I compagni quivi rimasi si credettero almeno di ritrovare il mantello tutto lacerato dalle coltella, fesso il cappello e squarciati i panni dell’uomo di paglia; ma fu il contrario, perché l’altro amico, ritornando indietro col morto, lo fece vedere al suo uccisore ch’era sano e intero, e gli seppe dire del correre, dell’andare adagio e delle prudenti riflessioni dell’arme da fuoco che l’aveano fatto ritornare indietro, di che egli fu ripieno di confusione e vergogna. Risero per un poco gli amici; ma poi finalmente si rappacificarono, dimostrando al giovine che ogni cosa era stata per amicizia, e per guarirlo da quel difetto; onde finalmente si abbracciarono tutti contenti, e sono oggidì più amici che mai.


LVIII.

L'artifizio riuscito vano.


Non sono ancora molti giorni passati, che appresso alla bottega di un venditor di paste di Genova s’incontrarono due forestieri che cordialmente con un Oh oh! di meraviglia si salutarono prima e abbracciarono; poi l’uno di essi disse all’altro: Amico mio, voi mancaste di parola; io vi ho più giorni aspettato in Padova, come da voi mi era stato promesso, e non vi siete venuto; che vuol dire? Gl’impacci, rispose l’altro: tante faccende mi sono sopravvenute, ch’io credetti di affogarvi sotto; fra le