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120 novella lxviii.

LXVIII.


Il Quadro d’Imeneo.


Narrasi che un giovinetto ricchissimo, e bello di aspetto, era innamorato gagliardamente di una fanciulla tutta bellezza e modestia, con la quale avendo già pattuito e assegnato il giorno delle nozze, era il più contento e giovial giovane che vivesse a quei giorni. Tutt’i pensieri suoi erano allegrezza e speranza di godimento. Già gli parea di vedere con gli occhi il giorno delle nozze tutto sereno; gli suonavano negli orecchi gli strumenti; vedea le apparecchiate mense, gli amici e i parenti in festa, e soprattutto la sposa sua vestita riccamente, acconcia i capelli come una Venere; e in somma si raggirava pel cervello tutte le consolazioni che io dico e che non dico. In tanta festa e ricreazione di animo fece venire a sè un pittore, e gli disse: Pittor mio, io voglio che tu mi dipinga il giovinetto Imeneo, dio delle nozze. Io ho a sposarmi di qua ad un mese, e debbo avere questo sì caro e benefico nume nella mia stanza, ma vedi bene, che tu me lo faccia a modo mio. Io voglio che tu mi dipinga un garzoncello tutto grazia, con un visetto di latte e rose; pienotto, con due occhiolini che sfavillino per la giocondità: delle sue manine, l’una terrà una facellina con una fiammolina chiara, e se tu puoi fare che la sua luce somigli a quella del sole, si la farai tale; l’altra avrà una finissima catena d’oro con maglie che appena si veggano, fornita qua e colà di diamanti; abbia d’intorno le Grazie, qualche amoretto, i giuochi, gli scherzi e i risolini; in somma, ed egli e tutta la famiglia sua fa che sia una delizia e una consolazione. Il pittore, accettata la commissione, va a casa sua, squaderna libri di mitologia, si empie la testa e il cuore di quanta allegrezza sa e può, e con l’immaginativa pregna dello studiato e dell’inventato disegna e dipinge un Imeneo tale, che parea dipinto