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novella ii. 213

venite meco al suo appartamento. Il giovane Kebal consegnò la lettera alla madre, la quale poichè l’ebbe letta, non sospettando punto che non fosse del marito, fece secondo l’ordine che letto avea, e diede per isposa al giovane la figliuola.

Intanto Kebal avendo terminate le sue faccende, ripigliò il cammino verso Bagdad, dove essendo giunto, rimase all’estremo maravigliato, ritrovandovi il figliuolo suo vivo e sano più che mai fosse; e ben più si maravigliò e quasi uscì di sè, quando riseppe ch’era divenuto suo genero. Tutti gli pareano casi da non potergli credere; ma il timore di avere a scoprire i suoi delitti gli fece passar la voglia di sapere come fosse stata la cosa, e prese lo spediente della dissimulazione, e mascherò sotto le apparenze dell’amicizia quell’odio mortale che portava tuttavia sempre a quell’innocente figliuolo. Melahiè sua figliuola non si lasciava tuttavia ingannare da quella falsa tranquillità, ma sempre più innamorata del suo caro sposo, tenea aperti bene gli occhi e vegliava ogni passo del padre.

Kebal di là a qualche tempo dopo il suo arrivo donò un montone a’ servi suoi, con molte secchie di vino; e disse loro: Statevi trionfando sta notte, e festeggiate il mio felice ritorno alla patria; ma un servigio di grande importanza vi chieggo. Un segreto nemico tende agguati alla mia vita; stasera lo trarrò meco a casa mia; verso l’ora quarta della notte discenderà dalla scala delle mie stanze; non sì tosto vi accorgerete di lui, che gli sarete coi pugnali addosso.

Venuta l’ora assegnata, Kebal ordinò al figliuolo ch’egli andasse alla corte dov’erano i domestici suoi, e che un certo ne conducesse davanti a lui: e già era per mettere piede sulla scala fatale, quando la moglie di lui, piena di sospetto com’era, lo arrestò, e lo scongiurò a non effettuare una commissione, nella quale parea a lei di vedere che vi fosse qualcosa di misterioso, e ne lo condusse seco.

Era Kebal intanto da varie passioni travagliato; ed