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novella vi. 233


VI.


Allegoria1.


Fu una volta un uomo di cuore benefico, il quale volendo prestare ajuto ad uno de’ suoi schiavi per farnelo quanto potea felice, gli diede la libertà; e fatta porre in ordine una nave, gli diede tanto, che egli potesse andarsene in qualunque paese gli fosse piaciuto a cercare la sua fortuna.

Lo schiavo pieno di riconoscenza fece vela; ma non sì tosto si era egli allargato in mare, che una spaventevole burrasca lo gittò in un’isola da lui stimata deserta. Avea tutte le merci perdute; i marinai si erano affogati in mare; onde ritrovavasi soletto senza un soccorso al mondo, e senza sapere in avvenire che dovesse essere di lui, altro che miseria e dolore. Andava egli dunque a passo a passo, concentrato nelle sue considerazioni, quando gli apparve davanti un sentiero che avea orme d’uomini; onde entrato lietissimo in quello, scoperse da lunge una città grande: riprese speranza e volse il passo alla volta di quella.

Ma chi potrebbe immaginare qual fosse la sua maraviglia, quando trovatosi a quella vicino, videsi attorniato dagli abitanti venutigli incontra e da alcuni araldi che cominciarono a gridare: O popoli, questi è il monarca vostro? Le acclamazioni andarono accompagnandolo alla città, alla quale venne condotto trionfando: fu introdotto in un palagio, usata abitazione dei re; venne vestito con un mantello di porpora, incoronato il capo: i principali uomini andarono a giurargli a nome del popolo tutta l’ubbidienza dovuta a’ sovrani.

  1. Quest’allegoria e la seguente possono dare una idea della filosofia orientale, la quale non presenta quasi nessuna verità morale che non sia sotto l’emblema delle figure.