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242 novella viii.

del comperarne altre, e quasi fuori di sè per l’allegrezza esce del bagno.

Quando il Cadì ebbe terminato di lavarsi, gli schiavi di lui cercarono in vano le pantofole del loro padrone, nè quivi trovarono altro che quelle sozze pantofole che di subito vennero riconosciute per quelle di Casem: gli uscieri corsero incontanente dietro a lui, essendo egli creduto il ladro, e ne lo ricondussero preso per tale. Il Cadì per le scambiate pantofole lo mandò alla prigione. Convenne aprire la borsa per uscir dall’ugne della giustizia; e poichè Casem era tenuto tanto uomo ricco, quanto avaro, non n’ebbe, come si dee credere, buon mercato.

L’addoloratissimo Casem ritornato a casa sua, prese per dispetto le pantofole e le lanciò nel Tigri che correa sotto le sue finestre. Avvenne di là a qualche giorno che certi pescatori tirando su una rete, la quale pesava più che non solea, vi trovarono dentro le pantofole di Casem, i chiodi de’ quali erano fornite, aveano lacerate le maglie della rete.

I pescatori sdegnatisi contro Casem e contro le pantofole di lui, s’immaginarono di gittargliele dentro per le finestre da lui lasciate aperte. Onde venendo esse con gagliardo braccio lanciate, diedero nelle bocce collocate per ordine sulle cornici, e le riversarono, sicchè ne rimasero spezzate, e l’acqua di rose andò perduta.

Ora chi potrebbe immaginare quanto Casem rimanesse addolorato di quella rovina? Egli cominciò a pelarsi la barba ed a gridare ad alta voce: Maledette pantofole, voi non mi farete altri danni; e così dicendo prese una vanga e cavò la terra nel suo orto per sotterrare quelle ciabatte per sempre.

Uno de’ vicini suoi, il quale gli volea male da lungo tempo, lo vide a rivoltare la terra: corre di subito ad avvisare il governatore, che Casem ha disotterrato un tesoro nell’orto; nè più abbisognò per accendere la cupidigia del comandante. Potè ben