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254 novella xiv.

subalterni, rispose il gran visire con aria di uomo che quasi di ciò non si curasse punto, poichè non mi venne annunziato che capo alcuno sia stato fatto prigione. Ve gli farò vedere, rispose l’imperadore di Costantinopoli, e gli ricondurrete al vostro signore come primo pegno di pace.

Incontanente venne quivi condotto il principe persiano accompagnato da’ suoi. Giovò la sua confusione a tenerlo celato, poichè non avea animo di alzare gli occhi nè in faccia all’inimico, nè al suo visire. Questi parlò al prigione con aria di severità di un capo che riprende: indi lasciò l’imperadore greco, promettendogli pronta risposta da parte del monarca persiano.

Non sì tosto furono usciti del campo il visire ed i prigionieri, che Melekchah ricevette le scuse del suo primo ministro, e con facilità gli perdonò quella ch’egli dicea mancanza di rispetto. Le proposizioni di pace state fatte dal visire solamente per necessità del caso, furono rotte fra poco. Il principe greco, mal pago che gli fosse stato fatto tal giuoco, si affrettò a dar la battaglia, la quale fu viva e piena di uccisioni. Furono rotti i Greci, e l’imperadore venne fatto prigione e condotto al padiglione del suo vincitore. Oh, qual maraviglia fu quella del greco monarca, quando riconobbe sopra un trono circondato di gloria quel giovane imperadore che avea veduto pochi giorni prima in istato cotanto umile, sgridato dal visire, e felicissimo di avere ottenuta la libertà da lui che era al presente suo schiavo!

Il principe greco, senza punto dimenticarsi l’alterezza conveniente al suo grado: Io, disse, non mi nascondo; tu sai chi sono. Se tu sei l’imperadore de’ Persiani, rimandami; se mercatante, vendimi; se macellajo, uccidimi.

Melekchah, punto l’animo dalla generosità, rispose: Se davanti agli occhi tuoi non fui sempre imperadore, voglio esserlo oggidì: ritorna al tuo campo, tratteremo di poi.