Pagina:Novellette e racconti.djvu/56

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46 NOVELLA XXVI.

amico mio, stato lontano di qua parechi anni, con una barba quasi da filosofo e con un cappellaccio a uso di alacce di pojana, che postosi il dito alla bocca, mi fe’ cenno ch’io tacessi. Ubbidii, ci ponemmo a sedere, ed egli cominciò, senz’altre cerimonie o saluti: Amico e fratel mio, io sono venuto a te, perche t’amo come t’ho sempre amato: chiudi l’uscio prima. Chiudo. Bene: t’ho, come dissi, amato sempre; e ora per dimostrarti l’amor mio, sono venuto a farti il più bel presente che mai potesse farti uomo alcuno. Lo ringraziai. Io voglio, proseguì egli, che noi due ci possiamo godere insieme mille anni vivi e sani come pesci. Oh Dio! diss’io fra me, l’amico mio è pazzo; ma pure, fatto buon viso, lo ringraziai e lo pregai che parlasse. Fratello e figliuol mio, diss’egli, sappi che col continuo studiare ho finalmente ritrovato una ricetta da far sì che la vita nostra sia durevole sino alla fine del mondo, tanto che vedremo l’Anticristo. Io sudava tutto. In una prefazione di Marsilio Ficino, proseguì, ho ritrovato la ricetta; e sta sicuro ch’io prendo quel segreto da parecchi mesi in qua e mi sento ringiovanire. Vorrei che avessi veduto le grinze che avea. In breve, mi addusse molte ragioni, per le quali mi provò che una certa dose di argento, di oro e di mirra mescolati insieme, debbono risolutamente incollare l’anima nel corpo e non lasciarla più uscire di là finchè dura il mondo. Così detto, mi abbracciò, e mi lasciò la ricetta, e volle che io la chiudessi a chiave in un cassettino, dove la tengo per fargliela vedere s’egli ritorna. L’ho ritrovato dopo, e me la raccomandò, pregandomi che io la usassi. E tuttavia egli è uomo d’ingegno e di lettere, e da credergli ogni altra cosa, fuorchè questa. È ora partito da Venezia, e io fo sapere a beneficio comune che posseggo questo segreto, il quale non verrà usato da me, perchè mi spiacerebbe molto se lo prendessi e mi vedessi in fine a fare come tutti gli altri che non l’avessero preso.