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66 NOVELLA XXXIX.

verenze ed inchini. Il pronto ingegno è un dono che salva da molte disgrazie.


XXXIX.


Ridicolo effetto di una paura.


Quando la paura entra nel corpo, fa come vuoi e ammonisci quanto ti pare, che pesti l’acqua nel mortajo. Molti ci sono che spiritano a vedere un ragnatelo: quasi tutte le donne, s’esce un topo e passa di qui colà, stridono e tremano; e tuttavia si può vedere animaletto più pulito, più lucido, con occhiolini più vivaci di un topolino? Maladetto gazzettiere, dirà alcuna che legge queste lodi; oh, può egli essere che paja bello un sorcio? Ma torniamo al filo. Tante sono le paure, che non si può annoverarle. Fra gli altri paurosi, non pochi sono quelli che all’udire lo strepito di un’archibusata si turano gli orecchi, e più ancora altri che non possono sentire per l’aria lo scoppio de’ tuoni e quell’ampliamento di fracasso che vanno facendo per un pezzo di tempo. Chi si rinchiude in una stanza all’oscuro, e ad ogni lampo china il capo e dice: Oh! Chi scende nella cantina. Un altro va a letto e si rinvolge nelle coltrici col cuscino sul capo. Fra siffatti uomini atterriti da questo rumore, io ne conosco uno, il quale levatosi la state, apre la mattina le finestre e scorrendo con gli occhi dall’est all’ovest e dal nord al sud, s’egli vede un nuvoluzzo, dice subito: Addio, faccende; e se quel giorno si trattasse della sua rovina, egli si move come se fosse fasciato. Eppure non è sì benestante, che non avesse gran bisogno di moversi, perch’egli alle volte ha poco di che mangiare. Poche sere fa egli si era provveduto per la cena di una coppia di ova e di una cartuccia con un poco di burro per friggerle in un tegame, e andava pian piano alla cucina con un ovo per mano. Era appunto arrivato in sulla soglia di essa cucina col pensiero tutto rivolto alla sua cenetta,