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Pagina:Novissima.djvu/53

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L’ESTETICA DELLA SCENA generale, quando l’arte è in piena e spontanea fioritura non si sente la necessità di formulare ed emanare delle teorie di estetica, che è il prodigio dell’arte compiuta, non la legge scritta a cui obbedisce l’artista nel suo laboratorio. Ai bei tempi di Pericle e di Leone, non c’erano esteti, e l’estetica trionfava nelle opere di Fidia e di Raffaello. Oggi, invece, di estetica si parla volentieri, e gli esteti pullulano e danno la ricetta della bellezza. Se ciò sia un segno di decadenza definitiva o di stanchezza precaria non possiamo dirlo noi, che non sapremmo giudicare imparzialmente il mondo in cui viviamo. Ma che questo estetismo» restringa il campo dell’arte e tenda a soffocarne i germogli, è una realtà flagrante della quale non ci è consentito dubitare.

Per quanto riguarda il teatro di prosa, il pericolo del soffocamento e della restrizione minacciato dagli esteti di professione, dagli esteti ufficiali, consiste nel credere e nel far credere che l’estetica della scena risieda esclusivamente in un’arte fatta di colori smaglianti, di parole alate, di immagini luminose, di atteggiamenti solenni, determinati, creati, direi quasi inventati dalla fantasia d’un autore per comporre una imponenza fittizia a cui si dà il nome di bellezza».

Il grande Tolstoi. scrivendo quel suo bizzarro libro contro l’Arte per l’arte con lo scopo di proclamare Arte vera soltanto quella a base di morale e di religione, si prese la briga di mettere insieme le più accreditate definizioni della bellezza, e dalla deficienza, dall’ambiguità, dall’urto, daile dissonanze di queste definizioni accettate dai sistemi estetici moderni e seminate dai più vari sistemi filosofici succedutisi nei secoli, egli trasse argutamente una conclusione nichilista: se la bellezza è una cosa tanto vaga, tanto inconsistente, tanto variabile, tanto inafferrabile, chiaro che essa non può essere la ragione dell’arte.

Ho ricordato il nichilismo di Tolstoi non per accogliere la sua cavillosa conclusione, ma per contrapporre alla sicumera di coloro che hanno stabilito quale debba essere la bellezza scenica limitandola agli elementi che ho detti, quel capitolo mirabile in cui Leone Tolstoi, a prescindere dalle sue esagerazioni, dimostra largamente come l’idea del bello sia refrattaria a tutte le definizioni, e quindi aggiungo io - a tutti i preconcetti, a tutte le formole, a tutti i programmi.

Senonchè mi si può dire - visto che è cosi mutabile, nel tempo e nello spazio, il criterio della bellezza perché esso risulta


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