Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) I.djvu/168

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ODE OLIMPIA VI 133


Epodo

spesso di preci e di vittime copiose con animo pio
gratificarono Ermete, araldo dei Numi, che regge
dei ludi le sorti, e gli agoni, e Arcadia la prode protegge:
Ermete ed il padre che tuona profondo, tua prospera sorte,
di Sòstrato o figlio, tutelano. — Mi par che una cote sonora
la lingua m’affili, e mi spinga con gli aliti dolci del canto.
A Stínfalo pur l’ava mia nascea, la fiorente Metòpa,


V


Strofe

che a luce die’ Tebe l’equestre, dove io l'acque limpide bevo,
pei prodi intrecciando la varia
corona degl’inni. — Su, sprona i compagni,
o Enea, che pria cantino d’Era Partenia, e poi tentin la prova
se noi con verace parola l’adagio vetusto d’ingiuria,
la scrofa Beozia schivare possiamo: ché araldo sincero
sei tu delle Muse, cratère soave d’armonici canti.


Antistrofe

Ortigia di’ pur che ricordino, di’ pur Siracusa. Lo scettro
qui tiene incorrotto Ierone,
che alberga nel cuore pensier’ di giustizia,
e onora Demètra dal sandalo roggio, e la figlia dai bianchi
corsieri, e la forza di Giove signore dell’Etna. Lui sanno
le lire soavi ed i canti. Il tempo futuro che repe
non franga il suo bene; e con animo cortese egli accolga quest’inno